AI-CONS

 

Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, cominciarono a delinearsi in occidente gli aspetti di quella che sarà definita “società di massa”.

La società di massa è caratterizzata da un significativo ruolo delle masse a discapito del singolo  che tende a scomparire, rispetto al gruppo che emerge.

A questo l’individuo si uniforma nell’aspetto, nelle abitudini, nei comportamenti e anche nelle idee.

Le piccole comunità tradizionali cambiano volto, per assumerne uno non più identificabile singolarmente.

Si fanno largo i concetti di conformismo e di serialità.

Questo cambiamento epocale, complice l’industrializzazione e un più diffuso benessere, si lega in maniera indissolubile e inestricabile, all’avanzamento prepotente e travolgente del consumismo.

Attraverso la propaganda pubblicitaria, sostenuta dai mass media che utilizzano un linguaggio nuovo, fatto di immagini e slogan, la società di massa è indotta a bisogni pre-stabiliti, che solo prodotti pre-individuati potranno soddisfare.

Solo e soltanto questi prodotti saranno in grado di generare nell’intera massa, sensazioni ed emozioni comuni.

Si parla di omologazione. Si parla di epoca modernista.

E’ in questo contesto che nasce e si sviluppa a metà del ‘900, la Pop Art.

Oggetti della vita quotidiana, di uso comune, immagini e poster di personaggi famosi, si svuotano del loro significato intrinseco, per divenire veri e propri simboli della società consumistica, icone dell’immaginario collettivo.

Successivamente a questi fenomeni, a partire dalla seconda metà del XX° secolo, nell’era del capitalismo maturo, si va affermando la società di massa postmoderna.

Il rigore del pensiero logico, le regole, le certezze raggiunte, la visione di progresso ineluttabile, fondamenti del modernismo, lasciano il posto allo scetticismo, all’indeterminatezza, al neopragmatismo . La realtà è  ora frammentata e incerta e si intende vivere senza soluzioni definitive.

Tanto ordinato e prevedibile era il moderno, quanto caotico , irregolare e cagionevole il postmoderno.

Il termine di “società liquida”  coniato da  Zygmunt Bauman per definire questo periodo (che tuttora attraversiamo), ne è la sintesi più esplicativa.

“Siamo passati ad uno stato di liquidità”.

Idee, esperienze, comportamenti, rapporti interpersonali, non hanno il tempo di consolidarsi: tutto è fluido, scorre, scivola, passa . Mancano riferimenti stabili  e la velocità dei cambiamenti genera nell’individuo, che apparentemente ostenta una vita forzata e scatenata, sbandamento e ambiguità.

Questo contesto storico è terreno fertile per l’avvio e lo sviluppo della rivoluzione digitale , con il conseguente affermarsi della società virtuale: una società divisa fra l’essere on-line o off-line, incapace di staccare la spina, sempre pronta a digitare, chattare, condividere, che sia giorno o notte, al lavoro o a casa, senza distinguo.

In questo excursus storico siamo partiti dalle comunità tradizionali per approdare agli internauti, coloro che navigano in rete, apprendono, si informano, dialogano via internet.

Ancora una volta sono i sistemi di comunicazione di massa ad essere  complici e protagonisti del cambiamento, con l’adozione di  ulteriori nuovi linguaggi e l’utilizzo non solo di parole scritte, ma soprattutto  di segni, motti, abbreviazioni, slang e una furia di immagini, così tante da non essere viste …

Internet e i social media, trasportano l’individuo al di fuori degli angusti limiti fisici di una stanza, in un mondo simulato, dove ognuno può dire la sua indipendentemente dalle competenze, dove le notizie vere o false assumono lo stesso valore, dove tutto scorre veloce, senza certezze, dove risulta indistinguibile ciò che è reale da ciò che è inventato, ma non ha importanza. 

Ad ampliare questo divario  si aggiunge spesso  l’utilizzo diretto o applicato delle scoperte della tecnologia avanzata, come app o software di Realtà Aumentata o Intelligenza Artificiale (AI).

Se la prima è da intendersi come la realtà che mediata da un elaboratore, permette l’arricchimento della percezione sensoriale umana, attraverso informazioni manipolate elettronicamente, che altrimenti non sarebbero percepite dai cinque sensi, nel caso dell’ Intelligenza Artificiale si parla proprio dell’abilità di una macchina di mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività.

Il Ceo di un noto marchio di telefonia sostiene che l’AI “adattandosi alle esigenze del suo fruitore, cresce con lui, ne comprende i gusti e sa quello che vuole ancora prima che gli venga chiesto”.

L’algoritmo è l’interprete dei dati a disposizione e il responsabile del risultato  finale

Inutile dire che la realtà e l’ autenticità delle situazioni, ne escono talvolta alterate se non del tutto snaturate e che pertanto nell’era digitale sono messe a dura prova.


AI-CONS nasce con l’intento di sintetizzare per immagini alcuni delle riflessioni scaturite dall’analisi di questo lungo percorso antropologico, giunto fino ai giorni nostri.

In  particolare relativamente all’utilizzo e rilettura di fotografie arcinote, al rapporto fra creatività e tecnologia, alla credibilità di alcune immagini in apparenza autentiche, alla storia che le stesse immagini possono raccontare al variare del contesto.

Le fotografie utilizzate da Andy Warhol per le sue più famose serigrafie , sono state la nostra base di partenza.

Invece di essere proiettati su seta imbevuta di emulsione fotosensibile, i ritratti sono state inseriti su apposito software di AI, che una volta fatti i suoi calcoli, ha creato un video composto da volti con espressioni che più verosimilmente avrebbero potuto assumere nella realtà.

Il programma, di fatto, attraverso algoritmi, ha simulato delle reazioni/emozioni umane,  che ha poi tradotto in svariati frame, complessivamente  della durata di alcuni minuti. 

La scelta dei  nove frame, che vanno a comporre un unicum, è stata casuale, ottenuta bloccando lo scorrimento della stringa contente le immagini, a intervalli di tempo prestabiliti.

Se l’opera di Andy Warhol mira a spersonalizzare l’io, a far perdere ciò che  i soggetti sono come persone, esaltandone la loro forma iconica di fascino, glamour, piacere, erotismo, piuttosto che fierezza, regalità, autorità, ottimismo,  in AI-CONS, l’AI smonta l’icona, che torna ad assumere sembianze umane, seppur  il tutto sia il risultato di una elaborazione meramente digitale.

Ecco che in AI-CONS i ritratti, dai più,  confusi con quelli delle famose serigrafie o ricondotti ai poster da cameretta dell’Ikea, divengono un’ icona altra, un emblema del nostro tempo, un prodotto della contemporaneità. Perché?

Non solo perché sono frutto di un software e non sono mai esistiti nel mondo reale, ma sopratutto perché , se anche si sono riappropriati della componente umana, della quale erano stati svuotati per assurgere il ruolo di icone universali, si tratta pur sempre di un’umanità alterata, ambigua, incerta , talvolta improbabile , al limite fra il vero e l’apparente, inoltre  anche perché  rispecchiano lo stato dell’individuo contemporaneo, sempre in bilico, ormai abituato alla mancanza di punti di riferimento, a certezze assenti,   a dubbi risolti con soluzioni generaliste. 

E’ tutto vero perché tutto ormai è falso. Ma tutto è accettato perché alla fine il punto di riferimento stabile, non ha valore. 

Questi volti, con le loro smorfie, i sorrisi accennati, gli sguardi provocatori o titubanti, nascono nel digitale e al mondo virtuale sono destinati. Ora come allora sono i mezzi di comunicazione di massa, a fare la differenza.

Viaggeranno in rete, approderanno nei siti, nei social, nei blog, si mescoleranno allo tsunami di immagini da cui siamo sommersi ogni giorno.

Pochi si fermeranno a leggere il testo che li accompagna, ma tutti esprimeranno opinioni in merito all’aspetto antropologico, piuttosto che storico, fotografico o tecnologico, qualcuno senza neanche osservare saprà subito di cosa si tratta, altri lasceranno una manciata di like o chiederanno se è possibile la condivisione. 

Forse il  curioso, attraverso una serie di domande,  tenterà una lettura delle immagini più approfondita, che è poi uno degli intenti di AI-CONS e dei nostri lavori in generale.

Chissà se queste celebrità si riconoscerebbero nelle espressioni “artificiali”? Avrebbero permesso la circolazione di fotografie  tanto diverse dal personaggio che l’immaginario collettivo  è solito attribuire loro?

Quanto l’apparecchio fotografico o come in questo caso l’AI sono in grado di 

far emergere, distinguendola, la persona dal personaggio e viceversa?

Ma le foto di altri,  se riutilizzate, possono ogni volta  raccontare nuove storie, esprimere nuovi concetti?

Quanto ci stanno ingannando  il mondo virtuale in generale e  le nuove tecnologie ? sono davvero intelligenti oppure l’ultima parola spetta ancora agli esseri umani veri?

Con l’avvento del digitale e di tutti i supporti tecnologici, quanto conta il mezzo rispetto a chi lo usa? E’ cambiato questo rapporto?

Ma se invece di questa lunga spiegazione, ci fossimo limitati a scrivere… AI-CONS altro non è che una raccolta di foto di archivio di personaggi famosi, che tra i tanti scatti hanno personalmente scelto quello per loro più rappresentativo e che li ha resi iconici… Sarebbe stato credibile? sì.. no perché? La parola agli internauti.